“Libero il canto mio sotto il tramonto nel cielo di Maremma grigio-scuro, buttero sono e il mio cavallo monto e del suo passo sono assai sicuro; nel cavalcar non temo alcun confronto come nel mio lavoro che è assai duro: il branco mi risponde col muggito ed il mio canto sento allora udito. Volgo lo sguardo verso l’infinito E il sole mi risponde col calore, quando nel vento sono infreddolito proseguo senz’avere alcun timore e il mio compagno con il suo nitrito, nel sangue mi riscalda del suo ardore; se poi la pioggia batte sul cappello, rispondo fischiettando un ritornello, | Ho nella tasca sempre un buon coltello, tengo la fune fissa nella sella, disseto la mia arsura nel ruscello e trovo appoggio nella mazzarella, all’ombra della quercia trovo ostello e tratto la Maremma da sorella: in questo modo mi sento contento e porto al sacrificio giovamento. E adesso che più libero mi sento, riprendo lentamente il mio cammino; da bravo conduttore dell’armento io sono parte al mondo contadino ed io l’accetto senza alcun lamento, mentre, fermo, cavalco il mio destino io col cavallo vivo la coltura e insieme a questo vivo la natura”. |

Poco si conosce, e forse volutamente si racconta, di quanto duro e importante sia il lavoro dei butteri, ma soprattutto dei loro cavalli.
La tempra e la tenacia che dimostrano i cavalli maremmani, li rendono adatti non solo al raduno delle mandrie, ma anche al percorrere molti km durante il giorno, in terreni difficili e in condizioni climatiche avverse.
Un’affidabilità che deve essere impeccabile, il che prevede un “perfetto” addestramento.
Sui modi utilizzati per addestrare si sentono pareri contrastanti: c’è chi sostiene che i butteri abbiano metodi veloci e poco gentili e chi sostiene che, pur severi quanto basta a rendere mansueti i loro cavalli, non utilizzano metodi coercitivi e/o violenza. Io sono stata là, nel mio sangue scorre le tradizioni maremmane, e posso assicurarvi che per i butteri il cavallo vanta di una certa sacralità e gode del loro massimo rispetto.
Senza il cavallo il buttero non esiste.
Sui metodi, beh, non cadono certo in tanti preamboli o eccessive carinerie, ma anche qui dipende molto da persona a persona. Quello che è diverso, rispetto a chi vede il cavallo come “animale da compagnia” e tende ad umanizzarlo troppo, è l’approccio e la mentalità. In Toscana, tra i butteri, è normale che il cavallo viva da cavallo. Sta all’aperto con altri conspecifici e si autogestisca nelle varie stagioni. Hanno ripari adeguati, ma di certo non scuderizzati in lussuosi box 24 ore al giorno, ne trattati come pupazzetti per sopperire alle proprie mancanze.
I cavalli dei butteri e i butteri sono dei grandi lavoratori. Abili, sicuri e concreti.
Ogni buttero ha a disposizione dai 3 ai 4 cavalli, scelto in base alla tipologia di lavoro che deve svolgere, assicurando così ad ogni partner equino i giusti tempi di recupero. L’età del soggetto utilizzato implica un’attenzione particolare, nonché il massimo rispetto della sua condizione fisica.
Il lavoro del binomio inizia alle prime luci dell’alba, un lavoro cadenzato, in andature mediamente tranquille. Il galoppo utilizzato quando necessario per radunare le mandrie, ma senza eccessi. Il cavallo è un compagno di mansioni, non un oggetto da sfruttare.

Ed eccomi qui, insieme ai butteri diversi anni fa. Un’esperienza unica, un gran lavoro e una pazzesca sintonia con il cavallo e la natura che ti circonda!!
La doma dei puledri, con la quale il buttero dimostra tutt’oggi la sua grande abilità, parte con lo separazione di un giovane cavallo dal branco; introdotto poi all’interno di un tondino nella quale ad attenderlo ci sarà il suo “domatore”. Dopo qualche giro in cui il cavallo spaventato dimostra la sua riluttanza, il buttero cerca di catturarlo con la lacciai e aiutandosi con il giudice, un palo robusto messo al centro del campo, continua a girare il puledro, facendolo sempre di più avvicinare. Tramite l’uncino, il buttero infila la capezza alla testa del cavallo, solo quando però questo si sarà tranquillizzato.
Si passa ad allungare la corda e si chiede al cavallo di trottare e galoppare. Dopo circa 10-15 giorni, quando il cavallo non temerà più il buttero, si passerà alla fase della sella.
E anche qui, solo dopo diversi giorni quando il puledro si sentirà a suo agio con la sella, non sgroppa, ecc., l’addestratore ci salirà sopra.

Il giudice è, come accennato precedentemente, un robusto palo situato al centro del tondino, utilizzato dai butteri come aiuto per tenere e far girare il cavallo. Solitamente facevano passare la corda con un mezzo giro intorno al palo, cosi da avere maggior fermezza e precisione. Ma non solo, il giudice nella tradizione buttera viene utilizzato anche per marcare le vacche o per insegnare al cavallo a stare fermo quando legato. C’è anche chi tramanda un altro tipo di utilizzo: quello di lasciare legato il puledro per diversi giorni, in modo da renderlo “più mansueto” e più facile alla doma. Le voci corrono, ma la storia insegna che là dove i cowboy addestravano con la forza, i butteri avevano metodi più “gentili”.
© Elena Cammilletti 2023-Tutti i diritti riservati