Credenze, miti e cultura: gli Indiani d’America e i loro cavalli

C’è un esempio per comprendere meglio il concetto di sintonia che vi voglio riportare:

  “Pensa ad un’aquila che si alza in volo con le correnti. L’aquila non libra in cima o sotto o di fianco a quelle correnti, ma è veramente integrata dentro di loro. Ogni spostamento nel vento interessa l’aquila e ogni battito di ali muove le correnti intorno a lei. Ogni movimento che uno fa interessa l’altro. L’aquila diventa una piccola parte dei venti. I suoi movimenti riflettono i movimenti di ogni variabile del vento, di quale lei ne fa parte. L’aquila in quota sa cosa significa essere in sintonia con  il vento.”

Il successo relazionale cavallo-uomo, nonché l’approccio addestrativo degli Indiani d’America è utopia, magia o rispecchia quella che dovrebbe essere considerata “normalità”? È davvero qualcosa che si può mettere alla merce di chiunque? È davvero qualcosa che è necessario bandizzare con spot pubblicitari new age?

Quando si pensa ai Nativi e al loro modo di interagire con i cavalli, ci si immagina sempre qualcosa di altamente empirico, ma cosi non è. Le nuove strategie di marketing occidetali, che vogliono vendere al pubblico equestre “i segreti della monta indiana”, spesso vogliono indurci metodi che poco hanno a che vedere con il rispetto reale del corpo e della mente del cavallo. Non serve montare a pelo per essere in contatto con il proprio cavallo, non serve montare in collare per rispettarne la sua natura (soprattutto se poi nel farlo lo si fa tecnicamente molto male!).

La cultura nativa custodice, protegge e raramente tramanda, con chi è appartenente ad “altri mondi”, le loro usanze e credenze. Perciò, come potremmo noi occidentali insegnare qualcosa che non conosciamo, noi che “ironicamente” discendiamo dalla accademia di Grisone? 

Personalmente credo anche che, sotto certi punti di vista, questa nuova modalità di marketing sia un improperio al folclore nativo.

Per i Nativi, l’approccio al cavallo non è un metodo esclusivo, anzi non è un metodo. Il concetto è molto più profondo ed esteso: è per loro innato l’amore per la vita, che sia essa di un vegetale o di un animale.

Sentirsi parte della natura, ospite della terra, padrone del NIENTE, al pari di tutti gli esseri viventi che popolano la terra. 

Il loro approccio al cavallo è lo stesso che hanno nei confronti di una formica, di un fiume, di un altro uomo.

Cane sacro, il cavallo, così lo chiamano. L’attribuzione di una sacralità porta alla forma più vera di rispetto. 

Legati ad un concetto che “ogni azione messa in atto, influenza tutte le cose viventi”, qui nasce la responsabilità sul mondo naturale.

Un popolo di grandi ricchezze spirituali, che monta a cavallo con mezzi empatici, in territori vasti. Non è magia, è sintonia con luoghi, natura e gli esseri che l’abitato.

L’equitazione può essere questo, aggiunta a un bagaglio di tecnicismi utili a rispettare il corpo dei nostri partner equini, che noi “occidentali” amanti degli sport equestri conosciamo bene.

Gli animali sono per le tribù native compagni, avversari, guide, modelli da seguire, consiglieri. In passato, grazie proprio agli animali, gli uomini hanno imparato che esistono le stagioni, hanno compreso, per esempio, cosa è commestibile e cosa no. 

Si tramanda che gli uomini Medicina, conosciuti anche come Curanderos, avessero la capacità di parlare con una o più specie animale. Se è vero che gli animali comunicano tra loro, allora è anche vero che comunicano con l’uomo.

La storia insegna i 7 punti chiave.

Si deduce che l’amore per il cavallo sia un concetto che accomuna tutte le tribù dei Nativi, dal nord America all’ America del sud, ma non è così: si afferma che alcune tribù addirittura odiavano i cavalli, visti come animali portati dell’uomo bianco, mentre altre ne avevano intuito l’utilità per la caccia.

Nel tempo, i guerrieri pellerossa compresero che per avere successo nelle battute di caccia non si potevano limitare all’utilizzo meccanico di questo grosso animale, ma che era fondamentale saper comunicare con lui. Si specializzarono sempre di più in questo, scoprendo che era uno dei più preziosi talenti che potevano sviluppare.

1. Questi guerrieri e nuovi uomini di cavalli passavano molto tempo con i loro cavalli, tanto da isolarsi dalle attività della tribù, risultando così agli occhi degli altri membri arroganti e solitari.  La prima chiave è questa: il tempo. 

Per riuscire a diventare un tutt’uno con il cavallo serve passarci molto tempo. I pony guerrieri diventavano dei veri  e propri “kola”, termine che i guerrieri nativi utilizzavano per i loro cavalli quando ne riconoscevano uno stato uguale al Fratello Guerriero (umano). 

2. Come riportato in diversi testi, il successo dei Nativi con i loro cavallo è dovuto al fatto che semplicemente sapevano che “il cavallo è un cavallo!”. 

La loro estrema praticità nel comprendere ed osservare le cose, gli permetteva di interagire con l’ambiente in maniera autentica. Non cercavano di trattare il cavallo come avrebbero trattato un cane o, peggio ancora, un umano.  L’addestramento, la comunicazione e le attività messe in atto restavano “dentro i confini della sua natura”.

3. L’allenamento di relazione (Relationship Training), così lo chiama Gawani Pony Boy, unico e vero addestratore nativo conosciuto, è una attitudine che va applicata a tutti i metodi e tecniche dell’equitazione.

4. Diventare l’itacan nel branco di due: cavallo e cavaliere. Diventare una guida. “Il mio cavallo non sa girare a sinistra”,  “il mio cavallo non sa galoppare”; “il mio cavallo non si ferma”;  “il mio cavallo non mi ascolta”: i cavalli sanno fare tutto già dal primo giorno che sono nati. Sanno girare a destra e sinistra, sanno galoppare, trottare e andare di passo, sanno comunicare e sanno ascoltare più di quanto siamo in grado di farlo noi. 

 Ascolta, o la tua lingua ti renderà sordo!

5. C’è solo un unico vero e grande ostacolo tra un uomo e un cavallo: la comunicazione. I grandi addestratori sono grandi comunicatori. Pensa. “come ti sentiresti quando intorno a te hai solo persone che ti dicono cosa e come devi fare una determinata cosa?”  ti sentiresti che non c’è mai spazio per il tuo pensiero, talento, istinto, espressione, desiderio. 

You must speak straight, so that your words may go as sunlight to our hearts! 

Devi parlare chiaro, affinché le tue parole possano andare come luce del sole nei nostri cuori!

6. Fiducia. L’uomo impara da piccolo a non aver fiducia in niente, prima che la nostra fiducia venga guadagnata. Gli animali invece hanno fiducia di tutto fino a quando non c’è ragione di non averne più. Ma ricorda, una volta che hanno motivi per non averne,  è troppo tardi! I nativi avevano adottato il metodo degli animali. La maggior  parte dei cavalli sono fiduciosi, ma basta davvero poco per loro perdere questa fiducia. 

7. L’essere in sintonia era ed è essenziale per i Nativi Americani. Per loro le cose naturali non mentono e dicevano (dicono!) :  “mai toccherai un fuoco che non ti brucerà, mai vedrai una pioggia che non sarà umida e mai vedrai un lupo che è veramente una pecora”. Autenticità.

Non sono solo simboli.

I Nativi americani pitturavano i loro cavalli con speciali pitture, nella quale rappresentavano dei simboli “medicina” che servivano ad intimorire il nemico e a dare forza e coraggio al loro “kola” in battaglia. La speciale pittura era fatta con pigmenti naturali mescolati ad acqua e grasso animale: la cenere per il bianco e il grigio, il carbone per il nero, le bacche per il blu, il rosso e il viola, l’ocra per il giallo. Sovente i guerrieri si dipingevano addosso gli stessi simboli che avevano dipinto sui loro cavalli.

Ogni simbolo racchiudeva un profondo significato:

  • Il cerchio attorno all’occhio serviva per ampliare la visione del cavallo
  • I ferri di cavallo all’ingiù indicavano a quante battaglie (vinte) aveva partecipato
  • Se un uomo di medicina o un capo spirituale disegnava su un cavallo un disegno a forma di “toppa” era una benedizione e una protezione.
  • Le impronte delle mani rappresentavano il numero di nemici sconfitti, nel conflitto corpo a corpo, senza l’uso delle armi.
  • Le linee orizzontali rappresentavano i coup dati (colpo, in francese. Era un modo di disonorare il nemico, credendo che toccandolo prendevano “la sua anima”. Non veniva ucciso, ma solo avvisato.)
  • I segni della grandine (usati da Crazy Horse) davano al binomio forza e la furia di una grande tempesta.

Inoltre, agghindavano le criniere e le code dei loro cavalli con oggetti. Spesso intrecciavano una ciocca dei capelli del guerriero alla criniera del suo cavallo, affinché i loro spiriti diventassero un tutt’uno.

Le piume di uccelli guerrieri (falco, aquila, falcone) venivano legate ai crini per dare maggiore velocità e agilità. 

Molte credenze, uno stile di vita unico e particolare nel sul genere. Adottabile, ma non imitabile. Non si può essere la copia di qualcosa che richiede una profonda autenticità.

©️ Elena Cammilletti